Monaco di Baviera, 27.04.2013

Commemorato a Dachau l'anniversario della Liberazione

Comites - Monaco di Baviera

 

Sabato 27 aprile, alla Cappella Italiana sul colle del Leitenberg, presso l'ex campo di concentramento di Dachau, si è svolta la cerimonia di commemorazione della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo, organizzata dal Consolato Generale e dal Comites di Monaco di Baviera.

I discorsi ufficiali sono stati tenuti dal Console Generale Filippo Scammacca del Murgo e dell'Agnone e dal Presidente del Comites Claudio Cumani.

La cerimonia è terminata con la deposizione di una corona di fiori.

Riportiamo il discorso tenuto dal Presidente del Comites, Claudio Cumani

 


 

Giacomo Ulivi - partigiano fucilato dai fascisti il 9 novembre 1944 sulla Piazza Grande di Modena - scriveva agli amici:

"Dobbiamo guardare ed esaminare insieme [...] noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. [...] Quanti di noi sperano [di] iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa, è il segno dell'errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un'opera di diseducazione ventennale [...] che martellando [...] da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica. [...] Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica - se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri - ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani [...] abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? [...] Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi, [...] la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, [...] ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo?"

La politica come impegno, per la "cosa pubblica", cioe per noi e per gli altri: questo spingeva quella generazione a rischiare la propria vita contro una dittatura aggressiva e sanguinaria.

E a quell'alto, nobile senso della politica dobbiamo tanto più ritornare oggi, a 68 anni dalla fine della guerra e dalla liberazione del nostro Paese e della nostra Europa dal nazismo e dal fascismo. Perché non esiste "antipolitica": esiste la "cattiva" politica e la "buona" politica.

Ci sono nostri rappresentanti che esaltano come furbi quelli che non pagano le tasse e che si interessano principalmente delle proprie aziende e dei propri problemi giudiziari. Ma ci sono anche amministratori locali che contro la corruzione si battono ogni giorno, e per questo ricevono minacce ed aggressioni.

Ci sono i politici che si alleano con la criminalità organizzata, o anche solo ne minimizzano la tragica realtà, magari pretendendo contro ogni evidenza che essa non riguardi il loro territorio. Ma ci sono anche i servitori dello Stato che rischiano la vita, ed anche muoiono, per sottrarre intere zone del nostro Paese al controllo militare della criminalità organizzata.

C'è chi è preoccupato solo di salvaguardare quanto in questo momento di crisi ancora ha (siano essi diritti, poteri, benefici o privilegi), condannando così alla precarietà ed alla paura intere fasce di popolazione: gli anziani licenziati o "esodati", le giovani generazioni senza più lavoro stabile. Ma c'è anche chi si impegna nella difficile ricerca di nuove politiche che uniscano sviluppo ad attenzione sociale, in un responsabile "patto fra generazioni". Anche al prezzo di limitazioni o rinunce a quanto si ha oggi, se necessario.

C'è chi demagogicamente gioca e scommette sulla divisione del Paese e scarica sull'Europa il peso di sciagurate scelte decennali che sono tutte e solo nostre. Ma c'è anche chi capisce che il nostro futuro è solo e soltanto in una Europa più unita, solidale, realmente federale.

C'è chi strumentalizza e magari aizza le paure verso gli immigrati, gli "altri". Ma ci sono anche i tantissimi che si impegnano quotidianamente in attività e politiche di accoglimento ed integrazione: sul territorio, nelle scuole, nei posti di lavoro.

C'è chi ingiuria chi non la pensa allo stesso modo, considerandolo un "nemico" da abbattere. Ma c'è anche chi è ancora convinto che - anche nel confronto più aspro - di tutti c'è bisogno: della destra come della sinistra, della efficienza come della solidarietà. E che il bene comune si raggiunge solo attraverso il confronto. E che "mediazione" e "compromesso" non sono parole sconce, ma necessarie al vivere insieme. Tanto quanto lo sono parole come "legalità" ed "onestà".

Il nostro Paese ha bisogno di persone che vogliano e sappiano prendendosi responsabilità e decidere. E gli attuali vecchi gruppi dirigenti del mondo politico ed economico dovrebbero finalmente avere uno scatto di generosità nei confronti delle generazioni più giovani e dare loro spazio, investire su di esse, aiutare con la loro esperienza la crescita delle nuove leve, dei gruppi dirigenti del futuro.

Invece di progettare il futuro, a 68 anni dalla Liberazione, c'è chi purtroppo ancora gioca con un uso ideologico e strumentale del passato, arrivando a minimizzare o negare la dittatura fascista e le sue responsabilità nelle tragedie dell'Europa del XX secolo (le presecuzioni razziali, la guerra, la distruzione fisica, economica, intellettuale, scientifica). Qui occorre invece che il nostro Paese impari a fare i conti col proprio passato, senza reticenza, con coraggio e sofferenza. Come ha fatto e fa la Germania. E' stato commovente vedere i Presidenti Napolitano e Gauck, due mesi fa, mano nella mano, a Sant'Anna di Stazzema. Ma io mi auguro anche di vedere presto un nostro Presidente a Domenikon (teatro il 16 febbraio 1943 di uno degli eccidi compiuti in Grecia dall'esercito italiano) o all'Isola di Raab in Croazia (dove nel 1942-43 organizzammo un disumano campo di concentramento in cui furono internati e morirono anche moltissimi bambini) o al Monastero di Debrà Libanòs in Etiopia (i cui monaci e laici furono massacrati il 19 febbraio 1937 dalle truppe del generale Graziani).

Come scrive lo storico Filippo Focardi nel suo splendido libro "Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale":

"Insieme ai gesti simbolici, e prima ancora di essi, servirebbe una ben maggiore diffusione della conoscenza della nostra storia, a partire dalle scuole. E' doveroso che gli studenti conoscano Sant'Anna di Stazzema e Monte Sole, come Auschwitz e le foibe, ma dovrebbero sapere anche che cosa hanno rappresentato Domenikon e Raab, per non dire di Debrà Libanòs in Etiopia. Allo stesso modo può avere un valore formativo che venga loro additato l'esempio di un Giorgio Perlasca, ma non dovrebbero essere taciute le colpe di un Rodolfo Graziani o di un Mario Roatta. Anche così si costruisce una memoria europea fondata sull'etica della responsabilità e aperta alla dimensione globale e multietnica delle società in cui viviamo, al di là di una memoria nazionale finora centrata su se stessa, vittimistica e autocelebrativa"

E questa memoria sarà il miglior modo per ricordare, celebrare ed onorare tutti coloro che sessant'anni fa morirono per liberare i nostri paesi dalla barbarie.

Grazie