Dachau, 25.04.2009 Commemorato a Dachau l'anniversario della Liberazione Comites - Monaco di Baviera
Sabato 25 aprile, di fronte ai forni crematori del campo di concentramento di Dachau, si è svolta la cerimonia di commemorazione della Liberazione dell'Italia dal fascismo, organizzata dal Consolato Generale e dal Comites di Monaco di Baviera. All'inno nazionale sono seguiti i discorsi ufficiali del Console Generale Adriano Chiodi Cianfarani e del presidente del Comites Claudio Cumani. La cerimonia è terminata con la deposizione di corone di fiori al monumento ai deportati. Riportiamo il discorso tenuto dal presidente del Comites, Claudio Cumani
Gentile Ministro,
grazie per essere qui, oggi. Permettetemi di iniziare con un pensiero commosso e partecipe per le vittime del terremoto in Abruzzo: tutta la comunità italiana della Baviera è unita nel lutto e nel cordoglio per questa tragedia. Oggi ci ritroviamo ancora una volta per celebrare l'atto fondativo della nuova Italia. Il 25 aprile 1945 l'insurrezione armata proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia (CLNAI) consentiva al Movimento di Liberazione di prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Il 29 aprile - lo stesso giorno della liberazione del campo di concentramento di Dachau - nella Reggia di Caserta l'esercito tedesco firmava la resa incondizionata, che sarebbe scattata il 2 maggio. Il 7 maggio, con la capitolazione della Germania, si concludeva il conflitto in Europa, mentre - in oriente - il Giappone si sarebbe arreso solo il 2 settembre agli americani ed il 9 settembre alla coalizione cinese. Germania, Italia e Giappone uscivano dalla guerra che avevano voluto e provocato completamente devastate, ridotte territorialmente, con gli apparati produttivi distrutti, le città in macerie, tesori storici ed artistici scomparsi per sempre, milioni di uomini, donne e bambini morti, feriti, mutilati, intere popolazioni cacciate dalle loro terre d'origine, ormai perdute. Tutta la geografia politica ed umana del nostro continente appariva stravolta, con confini sposati di chilometri e la scomparsa di popolazioni e culture da interi territori di cui per secoli erano state parte integrante, prima fra tutte quella ebraica nell'Europa centrale. Eppure, dalle ceneri di quell'immane tragedia gli uomini politici più illuminati d'Europa seppero porre le basi di un nuovo continente, nel quale il dialogo e la cooperazione prendessero il posto degli scontri e dei conflitti passati. E questa politica ha donato ai nostri paesi il più lungo periodo di pace degli ultimi secoli, fino alla costituzione della Unione Europea, del Parlamento europeo (che rinnoveremo in giugno, sperabilmente con un'alta partecipazione al voto), della moneta unica (che ha preservato i paesi che l'hanno adottata da effetti della attuale crisi economica ben più pesanti e tragici di quelli cui sono andati incontro). Se il fascismo ed il nazismo avessero vinto, tutto questo non sarebbe accaduto e - soprattutto - oggi non saremmo liberi. Per questo siamo qui ancora una volta ad onorare le vittime della barbarie nazista e fascista, a festeggiare l'anniversario della Liberazione dell'Italia ed a ricordare con riconoscenza chi per questa liberazione ha combattuto ed è caduto. Siamo qui per ricordare, perché "Chi dimentica la storia è condannato a riviverla", come ci ammonisce il poeta George Santayana dal Blocco 4 di Auschwitz. Ed invece troppo spesso come italiani abbiamo evitato di affrontare le pagine "buie" della nostra storia, rifiutandoci di affrontare crimini come le stragi compiute durante l'avventura coloniale (compreso l'uso sistematico dei gas contro la popolazione civile in Libia), le politiche di italianizzazione forzata nelle zone di confine mistilingui dopo la prima guerra mondiale, l'annessione al Regno d'Italia della Slovenia e della Dalmazia nel 1941, le violenze ed i campi di concentramento organizzati in Italia e nei territori balcanici occupati. Quello di "Italiani brava gente" è un mito che ci siamo costruiti da soli, per raccontarcelo a noi stessi. Ma è un mito che non ci aiuta a dialogare con gli altri popoli, perché ci fa risultare poco credibili, perché la rimozione del passato è l'esatto contrario del suo superamento. Notava lo scrittore triestino Paolo Rumiz: "Pensiamoci un attimo. Siamo l'unica nazione europea che ha ben due giorni dedicati alla Memoria [il 27 gennaio, "Giornata della Memoria" delle vittime dell'odio razziale nazifascista, ed il 10 febbraio, "Giorno del Ricordo" dedicato agli esuli d'Istria e Dalmazia e ai morti nelle foibe]. E siamo anche gli unici a servircene non tanto per chiedere scusa quanto per esigere scuse da altri. [...] L'Italia ignora che [le leggi razziali] furono proclamate settant'anni fa proprio a Trieste ed ebbero un tragico preludio nella repressione contro sloveni e croati fin dal 1920, con diciotto (!) anni di anticipo sulla Notte dei Cristalli. E pochi sanno che i "nostri" ebrei furono portati a morire sulla base di liste tutte italiane, accuratamente redatte nel '39 dall'ufficio "anagrafe e razza". Perché non lo si dice chiaro? Perché quel giorno infausto [del 18 settembre 1938, in cui Mussolini a Trieste proclamò le leggi razziali, giorno] di cui è appena trascorso il settantesimo anniversario, è stato ricordato in tono minore? Perché non s'è detto chiaro che quel tragico annuncio in piazza Unità ebbe in risposta non un silenzio attonito ma sette - ripeto, sette - ovazioni? C'è chi dice che le leggi razziste dipesero dall'influenza tedesca, ma Mussolini fu esemplarmente chiaro: "Coloro i quali credono che noi abbiamo obbedito a imitazioni - disse - sono poveri deficienti cui non sappiamo se dirigere disprezzo o pietà". "Non si capisce una cosa ovvia. La potenza tedesca si basa su un pilastro: l'aver chiesto scusa." Al contrario, "da troppi anni l'Italia evita il nodo del pentimento; si genuflette ad Auschwitz ma sorvola sui delitti del Ventennio" Il 25 aprile resterà invece una data viva e significativa se sapremo compiere come Paese la scelta della sincerità e dell'assunzione di responsabilità. Scelta scomoda e faticosa, ma l'unica che garantisca dignità e credibilità. E l'unica che possa anche salvare il nostro Paese dal ripercorrere tragiche derive, che non sono poi così impossibili, se pensiamo ai barboni bruciati, alle ronde a caccia di "musi neri", ai sempre più numerosi ed inquietanti esempi di paura, intolleranza, aggressività che ci arrivano dall'Italia. Ha scritto Claudio Magris: "Il male è un'insidiosa ambiguità; all'inizio si insinua in situazioni complesse e sfumate, che smussano a priori la resistenza, come accadde, ad esempio, con la cacciata dei professori ebrei dall'università. Per resistere al male e per rischiare, in questa resistenza, anche grandi sacrifici personali quando non addirittura la morte, un individuo che non sia un eroe (e nessuno è tenuto ad esserlo) ha bisogno di sentirsi inserito in un ordine di valori, condiviso da altri, che lo protegge dalla paura e dall'impulso di cedere e di fuggire e lo aiuta a stare al suo posto nella battaglia. [...] Fino ad alcuni anni fa, ci si sentiva, illusoriamente o no, parte di un mondo permeato da una cultura in cui era indiscutibile che, indipendentemente dal fatto di essere intrepidi o tremebondi, certe cose semplicemente non si fanno. È questa coscienza condivisa che conferisce all'individuo la forza di non fare quelle cose, di non sentirsi solo né patetico se in questa sua resistenza va incontro a dei guai. Oggi, in un clima culturale in cui tutto viene messo sullo stesso piano come le opinioni contrapposte e affiancate nei giornali, sembra più difficile, dinanzi alla violenza e all'ingiustizia, dire di no; salvare l'anima o [...] almeno non perdere la faccia". Ecco, se noi siamo ancora una volta qui, è per testimoniare con convinzione che un ordine di valori esiste ancora, che l'indifferenza va combattuta, che l'impegno contro ogni barbarie ha ancora senso. Ecco perché - come ha affermato il Presidente della Repubblica qualche giorno fa - il 25 aprile "non è festa di una parte sola". "La Resistenza fu un fenomeno che abbracciò tutta la nazione. Ci fu quella dei partigiani, quella dei militari e quella del popolo. [...] Fu decisivo in questa lotta l'eroismo delle formazioni partigiane, ma anche la componente popolare rappresentata dalle sofferenze e dalle atrocità inflitte alle popolazioni civili" che comunque si distinsero per la loro "solidarietà attiva" con il movimento partigiano. "Non fu di minore importanza la componente militare" con i soldati che "non si piegarono" ma combatterono "eroicamente e si unirono alle formazioni partigiane" e "l'odissea dei 600mila militari italiani internati in Germania che respinsero ogni lusinga rifiutando l'adesione al regime" collaborazionista della Repubblica Sociale. "I valori dell'antifascismo e della Resistenza non restarono mai chiusi in una semplice logica di rifiuto e di contrasto, sprigionarono sempre impulsi positivi e propositivi e poterono perciò tradursi con la Costituzione in principi e in diritti condivisibili anche da quanti fossero rimasti estranei all'antifascismo e alla Resistenza. Questo è un punto sul quale insistere. La Costituzione non è una semplice carta dei valori. È legge fondamentale e legge suprema anche e innanzitutto nel segnare i limiti entro cui può svolgersi ogni potere costituito e viene disciplinata la stessa volontà sovrana del popolo". "La Costituzione repubblicana - ha detto ancora il nostro Presidente - non è una specie di residuato bellico come da qualche parte si verrebbe talvolta fare intendere", nè "fu mai un manifesto ideologico o politico di parte". Se oggi viviamo nella pace e nella democrazia, è perché 64 anni fa l'antifascismo sconfisse il fascismo, e sconfiggendolo garantì la pace, la democrazia, il diritto alla vita ed alla parola agli stessi fascisti che aveva combattuto. Ed è con questa consapevolezza - che nessuna revisione del passato potrà scalfire - che oggi rendiamo onore a tutti coloro che allora rischiarono le proprie vite per la propria e le future generazioni. Grazie. |