Dachau, ex-campo di concentramento, 28.04.2007

Discorso del presidente del Comites di Monaco di Baviera, Claudio Cumani, in occasione della cerimonia ufficiale per il 25 aprile, anniversario della Liberazione dell'Italia dal fascismo e dal nazismoCommemorazione dell'anniversario della Liberazione

 

Gentile Console Generale, gentili signore e signori,

ancora una volta siamo qui, per ricordare l'insurrezione nazionale proclamata il 25 aprile 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia, insurrezione che consentì di liberare quasi tutte le città del nord del paese e che è a fondamento della festa della Liberazione dell'Italia dalla barbarie delle dittature fascista e nazista.

Ed ancora una volta lo facciamo qui, davanti a forni crematori del Campo di Concentramento di Dachau, che con la loro nuda, tragica semplicità ci impongono di evitare ogni retorica e di raccoglierci piuttosto a meditare nuovamente sul nostro passato, sul nostro presente, sul nostro futuro.

Come ci ricorda il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Festa della Liberazione è la Festa di tutti gli italiani, perché questa data rappresenta il riscatto dell'Italia da una dittatura che aveva calpestato libertà e democrazia, perseguitando, arrestando e torturando gli avversari politici, arrivando perfino ad assassinarli, anche in terra straniera ed ingaggiando sicari stranieri. (Di uno di questi, Antonio Gramsci - colui che Mussolini definiva "sardo gobbo dal cervello indubbiamente potente" - è ricorso proprio ieri il settantesimo anniversario della morte in carcere). Una dittatura che aveva oppresso le minoranze etniche nazionali, aggredito altri popoli in guerre coloniali e di conquista, sviluppato politiche razziali ed antisemite, appoggiato le dittature in Europa e nel mondo. Una dittatura che infine si era accodata alla guerra voluta da Hitler - apparentemente ormai prossimo ad una conclusione vittoriosa - nella meschina speranza che qualche migliaio di morti le premettessero di sedersi al tavolo della pace, dalla parte del vincitore pigliatutto.

Attraverso la Resistenza, la parte migliore, più consapevole, del popolo italiano ha riscattato l'intero Paese. Ha ricordato il Presidente:

"La lotta di Liberazione fu innanzitutto moto spontaneo delle coscienze, che si estese dalle Fosse Ardeatine a Marzabotto, da Porta San Paolo a Cefalonia, dalle montagne italiane ai Balcani, dalle carceri di Regina Coeli e San Vittore" al campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste ed "ai lager nazisti. E fu sacrificio di tantissimi italiani, insieme con vaste schiere di giovani soldati americani, inglesi, francesi, canadesi, polacchi e di altri Paesi alleati. La Liberazione fu per l'Italia il frutto di innumerevoli sforzi, coerenti nello spirito e negli scopi anche se distinti nei modi, che anticiparono, accompagnarono e spesso integrarono l'intervento pur determinante delle forze anglo-americane: la lotta partigiana in armi, le azioni di combattimento delle Forze Armate in Italia e all'estero dopo l'8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei lager e quella spontanea delle città come dei piccoli comuni, fino all'azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli cittadini".

E con la "svolta di Salerno" del 1944 - con la quale il PCI sancì la priorità della causa nazionale della liberazione rispetto alla causa del partito ed allo stesso mito della classe operaia - la Resistenza si affermò come vero momento unitario e nazionale, che vide insieme repubblicani e monarchici, liberali, democristiani, azionisti, socialisti, comunisti. Insieme, uniti nella volontà di ridare indipendenza, libertà e dignità ad un paese occupato, ferito, offeso, umiliato. Anche nella differenza di opinione e progetto politico. Gli atti fratricidi che pur ci sono stati non riescono a contraddire questo spirito largamente maggioritario. Riconoscere, comprendere questo, significa capire perché la Resistenza sia davvero l'atto fondativo della nuova Italia, perché il 25 aprile sia davvero una festa di tutti gli italiani.

Cito nuovamente il Presidente:

"La Liberazione fu un risultato di decisiva importanza per l'avvenire del Paese, ma al tempo stesso e soprattutto fu la premessa, la condizione per un'Italia nuova, per la Costituzione, per la faticosa ed entusiasmante edificazione di una democrazia vitale, per la rinascita economica e sociale, per lo sbocciare della realtà istituzionale dell'Europa e delle Organizzazioni Internazionali [...]: tutte conquiste che la Liberazione dell'Italia e dell'Europa ha reso possibili, tutte tappe di un difficile cammino che continua nel presente e si proietta nel futuro."

Chi come me ha avuto la fortuna di conoscere personalmente alcuni dei grandi protagonisti di quella generazione è rimasto colpito da quanto quei politici fossero permeati - anche nelle situazioni di scontro duro - da un profondo senso di rispetto per le istituzioni e per gli stessi avversari, nei quali si riconosceva comunque un interlocutore, una parte integrante del comune tessuto nazionale.

Quella uscita dalla guerra di Liberazione era una generazione di politici sui quali tutto si potrà dire, tranne che avessero intrapreso l'attività politica per interesse personale o per prospettive di carriera. Perché anzi quella scelta comportava il serio rischio della galera, del confino, della deportazione, della vita stessa. A muovere quella classe politica erano al contrario valori forti, ideali, visioni del mondo per le quali aveva senso rinunciare ad una vita normale e rischiare tutto.

E se è giusto chiedere a chi è nato dopo quei tempi tragici di non dimenticare (perché "chi non ricorda è condannato a ripetere") è anche doveroso chiedere a chi si impegna oggi di mantenere alto il profilo dell'impegno politico e sociale, di riprendere la lezione di vita e di stile della generazione che spese la sua giovinezza nella guerra di liberazione, nelle carceri, al confino, nei campi di concentramento.

Una politica che è solo esibizione e spettacolo, apparenza televisiva e personalismo, una politica che parla solo a se stessa e ragiona solo in termini di carriere ed organigrammi, favori e clientelismi, è la negazione della Resistenza.

Sarebbe ben triste se per avere dei politici mossi da valori ed ideali si dovesse - per legge naturale - passare prima attraverso dittature e guerre. Perché anche oggi ci sono ingiustizie e disuguaglianze contro le quali vale la pena battersi. Perché una guerra, una guerra vera anche se silenziosa, è ancora in corso in Italia nelle zone controllate dalla malavita organizzata (mafia, camorra, 'ndrangeta, sacra corona unita, per citarne alcune). Perché ogni anno siamo colpiti dalle centinaia di morti sul lavoro nei cantieri italiani, dove la logica del profitto e dello sfruttamento ha ragione delle più elementari norme di sicurezza. Perché continuamente sentiamo e leggiamo degli enormi guadagni delle grandi compagnie industriali e finanziarie - e dei loro superpagati manager - ottenuti magari anche attraverso licenziamenti e ridislocazioni dei posti di lavoro nelle parti più povere del mondo (senza peraltro portarvi sviluppo, ma nuove schiavitù, orari insostenibili, sfruttamento minorile). Perché sempre maggiori sono le distanze fra la minoranza dei ricchi e la grande maggioranza dei poveri, nel mondo e nei singoli paesi. Perché la precarietà e l'insicurezza minano le nuove generazioni e la loro capacità di immaginarsi e programmarsi un futuro. Perché altissima è la sfida del rischio ambientale cui questo modello di sviluppo ci espone. Perchè imponente è la sfida alla coesione ed all'integrazione che accompagna le inevitabili ed inarrestabili migrazioni umane.

E quindi anche oggi, come allora, come al tempo della guerra di Liberazione, abbiamo bisogno di cittadini e di una classe politica che siano capaci di visioni del mondo, di nuove frontiere e nuovi orizzonti all'altezza delle sfide in atto, speranze e progetti per i quali abbia senso impegnarsi, spendere se stessi, anche rischiando in proprio.

Ed è quindi ancora attuale l'appello che nel 1954 Piero Calamandrei rivolse ai giovani, ma che oggi rivolgo a tutti noi. L'appello a coltivare la memoria, l'appello a coltivare "nella vita politica", ma anche nel nostro impegno quotidiano sociale, culturale, personale, "quella serietà civica, quell'impegno religioso di sincerità e di dignità umana che fu il carattere distintivo della Resistenza".

Grazie.