Dachau, ex-campo di concentramento, 24.04.2004
Discorso del presidente del Comites di Monaco di Baviera, Claudio Cumani, in occasione
della cerimonia ufficiale per il 25 aprile,
anniversario della Liberazione dell'Italia dal fascismo e dal nazismo
La storia del luogo in cui ci troviamo - il campo di concentramento di Dachau - corre parallela a quella della dittatura nazista che lo ha ideato.
Aperto nel marzo del 1933 subito dopo la presa del potere da parte di Hitler, il campo verrà liberato qualche giorno prima della capitolazione tedesca, alla fine del secondo conflitto mondiale.
Nei 12 anni di operatività, nel campo passerà l'intera umanità dei perseguitati dal nazismo: ebrei, zingari, omosessuali, testimoni di Geova, Untermenschen dei paesi occupati dell'Est Europa, prigionieri di guerra, lavoratori coatti. Fra questi anche molti italiani.
I primi prigionieri sono però tedeschi: il campo viene infatti aperto per rinchiudervi dei connazionali dei nazisti al potere, "tutti i comunisti ed i funzionari socialdemocratici", come dichiara il capo della polizia di Monaco, Himmler.
In Germania come in Italia il nazionalismo esasperato, il patriottismo aggressivo ed arrogante si rivela per quello che è: un nemico del proprio paese e della propria gente, proprio del paese e della gente alla cui "superiorità" inneggia.
Nel momento in cui esaltano la Patria e la Nazione, il fascismo ed il nazismo in realtà imprigionano, torturano, assassinano o mandano in esilio i propri connazionali e preparano la rovina dei propri paesi. Rovina fisica, morale, culturale.
Quante vite umane sono state stroncate, quante famiglie distrutte?
Di quanti tesori artistici, di quanta memoria storica, di quante splendide città potremmo ancora godere se non ci fossero state le distruzioni della guerra? E di quanta cultura potremmo ancora arricchirci se nazismo e fascismo non avessero reciso alcune delle storiche radici culturali tedesche ed italiane con le loro politiche razziali, o costretto all'esilio le menti migliori dei loro paesi? È impressionante vedere quante intelligenze abbandonarono l'Europa per sfuggire alla barbarie. Per fare solo due esempi: senza nazismo e fascismo, Albert Einstein ed Enrico Fermi sarebbero stati nobel tedeschi ed italiani, non americani.
Se "la patria muore" - come è stato detto - ciò avviene con la conquista del potere da parte del fascismo e del nazismo. Ed è con la loro sconfitta che l'Italia e la Germania possono "rinascere" come paesi civili, di cui si possa essere cittadini senza provare vergogna.
Non è un caso se finalmente l'antifascismo viene da più parti riconosciuto come valore fondante della Repubblica Italiana (anche da chi fino a qualche anno fa definiva Mussolini come "il più grande statista italiano del ´900", e lo dico senza ironia, ma con soddisfazione e gioia): se il fascismo ed il nazismo non fossero stati sconfitti, oggi non saremmo liberi.
Per questo siamo qui oggi ancora una volta ad onorare le vittime della barbarie nazista e fascista, a festeggiare l'anniversario della Liberazione dell'Italia ed a ricordare con riconoscenza chi per questa liberazione ha combattuto ed è caduto.
Non vogliamo dimenticare, perché "Chi dimentica la storia è condannato a riviverla" come ha scritto il poeta Satyana ai cancelli di Auschwitz. Dobbiamo anzi imparare dai nostri amici tedeschi il coraggio e la franchezza nel voler guardare alle pagine buie del nostro passato.
Troppo spesso come italiani abbiamo evitato di affrontare le pagine "poco edificanti" della nostra storia, lavandoci la coscienza con un semplice "i nazisti hanno fatto di peggio" e rifiutandoci di affrontare fatti come le stragi compiute durante l'avventura coloniale (compreso l'uso sistematico dei gas contro la popolazione civile in Libia), le politiche di italianizzazione forzata nelle zone di confine mistilingui, le violenze ed i campi di concentramento organizzati dagli italiani nella Slovenia annessa come provincia al Regno d'Italia nel 1941. Quello di "Italiani brava gente" è un mito che ci siamo in gran parte costruiti noi stessi, per tranquillizzare la nostra falsa coscienza. Ma è un mito che non ci aiuta a dialogare con gli altri popoli, perché ci fa risultare poco credibili, perché la rimozione del passato è l'esatto contrario del suo superamento.
Se non vogliamo fare del 25 aprile una vuota, retorica ricorrenza, dobbiamo compiere nuovamente la scelta scomoda e faticosa della sincerità, dell'assunzione di responsabilità. Come fecero coloro che si opposero al fascismo, pur se in condizioni per nulla tragiche o rischiose come le loro.
Oggi come allora dobbiamo impegnarci per vincere i nazionalismi, i pregiudizi, le paure che erigono barriere fra gli uomini.
Oggi come nel luglio del 1941 quando, al confino nell'isola di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi scrissero il loro famoso Manifesto nel quale per la prima volta prendeva corpo l'idea di un'Europa federale unita, non più teatro di guerre e tragedie.
Anche in assenza di guerre o dittature la libertà e la dignità vanno riconquistate ogni giorno, ed ogni giorno difese dall'abitudine, dall'indifferenza, dall'apatia. E nel nostro impegno quotidiano per il dialogo e l'amicizia fra le culture ed i popoli, per l'integrazione e la crescita della nostra comunità, per la sua partecipazione alla vita sociale, culturale e politica locale, ci sentiamo a pieno titolo figli e nipoti di coloro che sessant'anni fa lottarono contro il fascismo e per la libertà.
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